
L’ora non è di pace; ma neanche fatalmente di guerra [1].
La guerra verrà se nessuno saprà far niente per impedirla. E verrà per distruggere tutti o per estendere e forse unificare il processo totalitario.
Ma la guerra non s’impedisce con l’astensione o con la propaganda antimilitarista.
Se la democrazia capitalista si sostiene economicamente solo appoggiandosi al riarmo e sulle spese necessarie a compensare le distruzioni della guerra passata [2], e la sua prosperità non è quindi che una corsa alla guerra, quest’ultima non si evita se non trasformando l’economia capitalista (basata sui prezzi e perciò su una scarsità da mantenere ad ogni costo) in un’economia cooperativa e distributiva in cui il beneficio sia eliminato e l’aumento della produzione vada – com’è logico – in beneficio dei consumatori.
Se il totalitarismo – in cui si cade volendo mantenere il privilegio economico e politico quando il beneficio che finora n’è stata la base sta sparendo – non può sostenersi se non con la militarizzazione e l’espansionismo nazionalista, bisogna cominciare col combattere lo Stato totalitario se si vuol evitare la guerra.
Il socialismo antitotalitario è l’unica speranza di vita, di fronte alla minaccia incombente.
Ma non è la soluzione di pace.
Luce Fabbri contro i due blocchi autoritari
Tutte le forze che in oriente e in occidente si preparano alla guerra, sono indotte a questa preparazione dal disperato desiderio di mantenere nelle loro mani la trasformazione in corso, di salvare, nel suo seno, la loro autorità sulle masse popolari a cui ogni crisi dà sempre certo grado d’iniziativa.
[…] Il ferreo regime di Stalin […] il fascismo, il nazismo, il nascente totalitarismo neocapitalista, con l’appoggio delle varie categorie del privilegio politico ed economico e della Chiesa, sono state e sono le forze che hanno mantenuto sotto controllo ed annullato l’intervento della “base” in questo possibile campo d’azione.
A queste forze conviene classificare come comunisti tutti i movimenti che tendono a un’uguaglianza economica e ad una libertà politica più completa di quelle garantite da una democrazia formale sempre più intaccata da misure statizzatrici e liberticide.
Nello stesso modo, ai comunisti conviene, quando non possono controllare attraverso una propaganda equivoca tali movimenti, accusarli di fare il gioco degli interessi capitalistici.
Per gli uni e per gli altri è vitale che niente e nessuno rimanga fuori dai due blocchi.
Luce Fabbri: Pane e Libertà, le parole d’ordine della rivoluzione popolare
[…] Se la guerra scoppiasse, sarebbe ancor meno della guerra passata un conflitto tra nazioni: ogni campo avrebbe nell’altro una ben più numerosa “quinta colonna”. E, a differenza che nella guerra passata, le due quinte colonne sarebbero soprattutto popolari e avrebbero (quadri esclusi) su per giù gli stessi obiettivi e le stesse aspirazioni:
- il pane giustamente distribuito,
- e la libertà.
Far precipitare questa fondamentale identità prima che la situazione faccia crisi, vuol dire evitare la guerra, non per mantenere questa torbida pace, ma attraverso una rivoluzione che avrebbe contro di sé l’uno e l’altro blocco.
Non si evita la guerra se non combattendo; anche la nonviolenza può essere una forma di combattimento.
[…] Per fare questo, in ogni parte bisogna combattere contro lo Stato, che fa anch’egli sforzi disperati per mantenere il controllo del caos di transizione e solo può farlo avviandosi alla guerra.
Luce Fabbri: la propaganda antimilitarista da sola non ferma la guerra
La pura e semplice propaganda antimilitarista ed anche il sabotaggio contro il riarmo, quando rimanga puramente negativo, hanno in questo momento il grande svantaggio d’essere unilaterali, giacché niente di tutto questo è possibile all’est della linea divisoria tra i due blocchi, come non era possibile ieri nel mondo nazi-fascista.
Il mettere l’accento sulla loro volontà pacifista piuttosto che sul loro programma rivoluzionario e antitotalitario portò alcuni dei migliori compagni francesi alla vigilia dell’ultima guerra a unire la loro firma a quella di Marcel Déat [3] e di altri collaboratori con il nazismo tedesco, che già allora manifestavano pubblicamente idee di tipo fascista,
L’opposizione alla guerra dev’essere quindi rivoluzionaria, cioè creativa.
[…] Le possibilità che una simile rivoluzione avvenga sono o sembrano remote, mentre la minaccia atomica è molto vicina.
Obiettivamente, è fuori d’ogni proporzione, con le possibilità realizzatrici attuali dei movimenti d’avanguardia e specialmente del movimento anarchico, una rivoluzione autenticamente socialista in occidente.
In questo mondo falsamente diviso dal dilemma demagogico:
- o contro il capitalismo, in favore del comunismo totalitario,
- o contro il totalitarismo, in favore del sistema capitalista (che sta evolvendo anch’esso verso lo statismo totalitario),
noi, socialisti anarchici, dobbiamo lavorare ad avvicinare l’elemento socialista contenuto nelle forze sincere degli uni, all’elemento liberale – da trasformare in libertario – contenuto nelle forze sincere degli altri.
Il terreno d’azione del movimento anarchico
[…] Il nostro lavoro consiste nel far si che i popoli prendano coscienza di questo loro potere e di questa loro responsabilità.
Essi possono impedire la guerra; nessun governo lo può.
Questa responsabilità diretta di tutti gli individui non è delegabile a nessun parlamento, a nessun potere esecutivo.
In questo momento così grave per la vita dell’umanità, non c’è nessun uomo che possa rigettare sugli altri la colpa della sua morte e di quella dei suoi simili in una guerra che le nuove armi sembrano pure aver resa d’anticipo così impersonale.
Questa urgente necessità comune d’azione diretta, che s’identifica con un’aspirazione anch’essa incoscientemente comune verso una vita libera e giusta è il terreno su cui può salvarsi l’umanità, se pur si salva.
Indipendentemente dal pessimismo o dall’ottimismo con cui si può guardare al futuro, questo è anche il terreno d’azione del movimento anarchico: al di fuori dei grandi partiti, dei governi, di tutti gli organismi ufficiali, ma in seno alle fabbriche, ai campi, alle scuole, ai liberi organi di cultura, cercando di permeare le articolazioni di quest’immensa organizzazione naturale data dai rapporti che il lavoro stabilisce tra i produttori, che le necessità crescenti stabiliscono fra questi ed ogni aspetto del consumo, che la fame di sapere e le aspirazioni morali, affettive, estetiche stabiliscono da lontano e da vicino tra gli spiriti affini.
Superando,
- col suo massimo sfruttamendo, il macchinismo,
- con una libera ed agile coordinazione la gerarchia militarizzata,
- con la responsabilità individuale la mistica della nazione, della razza, delkla chiesa o del partito,
si potrà ancora ritrovare l’Uomo.
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Fonte e Note:
[1] L’intero testo qui riprodotto è di Luce Fabbri, “L’anticomunismo, l’anticapitalismo e la pace”, Montevideo 1949 (Cap. V, pag. 44 – 48).
[2] ADNKronos, 10 luglio 2025, “A Roma la conferenza per l’Ucraina, Meloni: Immaginare il dopo, investimenti per 10 miliardi”.
[3] Wikipedia, “Marcel Déat”.
Deputato socialista e anticomunista, proclamò la propria posizione a favore degli accordi di Monaco e il suo pacifismo in Mourir pour Dantzig? (“Morire per Danzica?”), un articolo apparso il 4 maggio su l’Œuvre, giornale di notevole diffusione cui prese la direzione dopo il 10 luglio 1940. Déat votò a favore della concessione dei pieni poteri al maresciallo Pétain. Il suo ormai annoso impegno ultrapacifista e le sue prese di posizione a favore dell’armistizio gli avevano fatto guadagnare una posizione di primo piano in seno al nascente regime collaborazionista. Con l’ingresso degli Alleati a Parigi, Déat fuggì, assieme alla giovane moglie Hélène, in Germania insieme ad altri alti dignitari dell’ormai defunto regime di Vichy. Nell’aprile del 1945, insieme alla moglie Hélène, lasciò la Germania giungendo rocambolescamente in Italia dove morì nel 1955. Non rivide più la Francia dove pendeva per lui una condanna a morte.

