Fabbri, l’Anarchia come rifiuto dell’autorità

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Anarchia significa, come dice la stessa etimologia della parola, negazione di autorità. E noi anarchici infatti neghiamo il principio di autorità combattendolo in tutte le sue manifestazioni di violenza e di coazione.

Combattiamo l’autorità quando essa si personifica in un potere più o meno esteso od intenso, dei pochi sui molti ed anche dei molti sui pochi, il quale costringa, con la forza o con l’inganno o col ricatto o con la minaccia di un danno, una collettività e gli individui che la compongono a fare o non fare una data cosa, sia pure in nome di un principio astratto creduto buono ed utile alla generalità:

  • Il governo che manda il carabiniere a prendere per il bavero il giovane di vent’anni per costringerlo a fare il soldato o ad arrestare un cittadino perché dice male del principe, è una forza dell’autorità;
  • il prete, che con le fandonie religiose e lo spauracchio della vita futura mutila la natura umana costringendo l’uomo all’esercizio macchinale della preghiera, e vietandogli di pensar come vuole, è l’autorità che inganna;
  • il padrone che costringe l’operaio a lavorare per pochi soldi molto tempo e gli impedisce così di godere la vita, con la minaccia di lasciarlo sul lastrico a morire di inedia, è l’autorità che affama con un ricatto;
  • il legislatore infine che fabbrica le leggi, con cui si limita la libertà dei cittadini per tenerli sottomessi al governo, al prete ed al padrone, e l’osservanza delle quali è imposta con tutto un sistema punitivo che va dal carcere alla morte, è l’autorità — un’autorità che combattiamo insieme a tutto il complicato meccanismo che ella si è fabbricata attorno per sostenersi.

Quando noi affermiamo senz’altro il nostro principio di negazione d’ogni autorità, c’è sempre qualcuno che sorge ad obiettarci: «Ma come? In anarchia, non essendoci rispetto per alcuna autorità, ciascuno potrà fare il comodo suo, anche facendo cose pazze. I muratori che costruiranno una casa non vorranno ubbidire all’autorità dell’architetto, gli infermieri all’autorità del medico, i ferrovieri all’autorità del capo stazione, e così via di seguito. A questo modo la casa crollerà presto, i malati moriranno, i treni partiranno troppo presto o troppo tardi, provocando disastri…..».

Ragionar così vuol dire, con la scusa della logica, portare le idee fino all’assurdo; a cui noi invece non giungiamo, convinti che tutte le idee, anche migliori, condotte all’assoluto, divengono o cattive o impraticabili.

L’anarchia è l’assenza assoluta di un padrone

Certo, in anarchia ci sarà ancora l’autorità — se così si può chiamare — della scienza e dell’esperienza, ed anzi io credo che quest’autorità sarà molto maggiore e più sentita che non oggi. Ma ad essa si conformeranno tutti, senza bisogno di un organo coattivo che ve li costringa, sia per la coscienza collettiva ed individuale più evoluta, sia per un miglioramento psicologico dell’umanità cui condurrà il nuovo assetto sociale — ma soprattutto perché tutti vi troveranno il proprio interesse, e tutti vi saranno costretti dal bisogno.

Del resto, anche oggi c’è forse bisogno del carabiniere per costringere, il muratore a dar retta al capo-mastro, l’infermiere a seguire il consiglio del medico, il ferroviere a stare scrupolosamente attento alle indicazioni del capo-stazione?

La violenza e l’inganno sono oggi soltanto necessari per costringere gli uomini ad ubbidire all’autorità del governo, del padrone e del prete; e questa precisamente è una prova che ciò che vogliono i preti, i padroni e i governanti non corrisponde più ai bisogni ed alla coscienza evoluta della società.

Dunque, l’assenza assoluta d’ogni padrone, sia esso quello invisibile della metafisica, o qualsiasi altro politico ed economico, ha per risultante l’armonico stato di cose cui è stato dato il nome d’anarchia.

L’anarchico si ribella alla religione

Il concetto deista è in fondo la consacrazione, la sublimazione del principio di autorità. Ad esso fan capo tutte le religioni rivelate, le quali predicano tutte la rassegnazione e l’ubbidienza ad un’autorità. Che cosa è dio per la mente che crede, se non il padrone dei padroni, il re dei re di tutto l’universo? È il prepotente massimo che, come dice Bakunin, in forma paradossale, se ci fosse bisognerebbe distruggerlo.

Il vero anarchico dunque non può non sentire il bisogno di ribellarsi innanzi tutto, coscientemente, a questa autorità fantastica che violenta la sua individualità, a questo essere immaginario che gli imprigiona il pensiero e gli vieta di ribellarsi a tutte le altre autorità ben altrimenti reali, e direttamente nocive, che l’opprimono sulla terra dove vuol essere una buona volta libero e felice.

La scienza non conosce dio, ed egli — l’anarchico — uomo moderno che non ignora la scienza, rinnega iddio, di cui la scienza non gli parla, e che l’ipotesi scientifica più positiva nega e distrugge.

Fonti e Note:

[1] Testo tratto da: Luigi Fabbri, 1911, L’ideale anarchico, cap. II, pag. 11-16.

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