De la Boetie: potendo scegliere, il popolo si fa servo

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« E’ un’estrema disgrazia essere soggetti a un padrone della cui bontà non si può mai esser sicuri perché ha il potere d’incattivirsi a proprio piacimento, e avere parecchi padroni significa essere parecchie volte vittime di una tale disgrazia ». Così ritenne dover affermare Etienne de la Boetie [1].

Negli ultimi due anni s’è discusso spesso di “democrazia”, quella dei buoni, quindi la nostra, e di “autocrazia”, quella dei cattivi, quindi quella di quel “nemico” di cui scrive Umberto Eco, e cioè della Russia e dell’Iran ad esempio. Se n’è discusso come se il dibattito sul quale sia “la migliore forma di governo” non fosse vecchio di secoli e mai concluso [ vedi qui il contributo di Erodoto ] e quello su cosa si dovesse intendere per “democrazia” fosse invece giunto a individuare forme certe, sicure e condivise di misurazione [ vedi qui il contributo di Simone Weil ].

Il “discorso” di Etienne de la Boetie contribuisce ad arricchire il dibattito su cosa sia la cosiddetta “democrazia” occidentale.

Spiega lo scrittore come « vi sono tre tipi di tiranni,

gli uni che ottengono il regno per investitura popolare,

gli altri in virtù della forza delle armi,

gli ultimi per diritto di successione ».

« Colui che ha ottenuto il potere dal popoloda quando si vede innalzato al di sopra degli altri, lusingato da quel che si chiama la grandezza, si risolve a rimanervi ben attaccato », sostiene Etienne de la Boetie.

In tal caso, « è mostruoso vedere in quanto superino in vizi, e anche crudeltà, gli altri tiranni, poiché non scorgono altro mezzo per garantire la nuova tirannide che accrescere la servitù e allontanare i sudditi dalla libertà ».

Si domanda, in proposito, lo scrittore nel suo breve testo, come sia possibile « vedere migliaia di uomini asserviti miseramente, con il collo sotto il giogo, non già costretti da una forza più grande, ma in qualche modo, incantanti e affascinati dal solo nome di uno ».

Afferma quindi essere un « orribile vizio vedere un numero infinito di uomini non obbedire ma servire; non essere governati, ma tiranneggiati ».

Secondo Etienne de la Boetie non vi sono dubbi:« è il popolo che si fa servo, che, potendo scegliere se essere servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo: è il popolo che acconsente al suo male o addirittura lo provoca. Preferisce una certa qual sicurezza di vivere miseramente piuttosto che una speranza dubbia di vivere a proprio agio ».

E ancora: « è difficile immaginare come il popolo, da quando è asservito, cade improvvisamente in uno stato di tale profonda dimenticanza della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riprenderla.

Serve tanto spontaneamente e tanto volentieri, che a vederlo non si direbbe che ha perso la libertà, ma che ha guadagnato la servitù ».

D’altro canto, continua, « per avere la libertà occorre unicamente desiderarla ». In tal caso, non può esserci « mai esserci un popolo che ritenga di pagarla troppo cara ».

Ne segue l’atto di accusa con cui Etienne de la Boetie prova a scoprire gli occhi del popolo:

« Da dove [il tiranno] prende i tanti occhi con cui vi spia, se voi non glieli forniste?

Come farebbe ad avere mani per colpirli, se non le prendesse da voi?

Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi se voi stessi non foste d’accordo?

Che male potrebbe farvi, se voi non faceste da palo al ladrone che vi saccheggia, se non foste complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi? ».

Tanti i motivi di tale condotta umana.

Uno, « senza dubbio, è l’abitudine che in ogni campo esercita un enorme potere su di noi, non ha in nessun altro campo una forza così grande come nell’insegnarci la servitù ».

Un altro l’educazione. « La natura dell’uomo è bensì quella d’essere libero e di volerlo essere, ma fa altrettanto parte della sua natura prender la piega che gli dà l’educazione », spiega ancora Etienne de la Boetie.

Insomma, se «gli uomini servono volontariamente è che nascono servi e vengono educati come tali ».

Da questa “regola” ne deriva un’altra per il nostro scrittore: « sotto i tiranni, è facile diventare vili ed effeminati ».

L’autore infine dedica qualche paragrafo ai giochi, ai passatempi, insomma a quelli che allora si chiamavano “ludi” dal nome del popolo dei lidi, la Lidia, che Ciro sottomise non già inviando una guarnigione ma aprendo bordelli, taverne e sale da gioco, nella capitale Sardi.

Scrive in proposito Etienne de la Boetie: « teatri, giochi, commedie, spettacoli, gladiatori, bestie feroci, medaglie, dipinti, e consimili droghe, erano per i popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli strumenti della tirannide: questo sistema, questa pratica, questi allettamenti erano gli strumenti con cui gli antichi tiranni addormentavano i loro sudditi sotto il giogo ».

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Fonti e Note:

[1] Etienne de la Boetie (1530-1563), scarica qui “ Discorso sulla servitù volontaria [PDF] ” (1549).

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