Godwin: Contro la povertà il lavoro non basta

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« La povertà è un male enorme ».

Chi può dire diversamente? Anzi, con William Godwin, si può certamente dire che « chi è nato in povertà è nato, con altro termine, in stato di schiavitù ».

La lotta alla povertà dev’essere, quindi, il primo impegno della politica.

Scrive William Godwin in “Eutanasia dello Stato” come « nella società civilizzata, l’unica condizione che mi è sembrata degna dell’uomo è tale che questi non può sopravvivere se non grazie ai frutti dell’industriosità sua e della sua famiglia » [1].

Tuttavia, « questo stesso tentativo di sussistenza lo assoggetta in differenti maniere ai capricci dei suoi confratelli ».

Dal padrone che riconosce una paga misera allo stato che chiede il versamento di tasse, al locatore che pretende l’affitto fino all’usuraio che presta a strozzo, in tanti assoggettano alle proprie pretese l’uomo.

« Lo spirito feudale sopravvive ancora e ha ridotto la gran massa dell’umanità al rango di schiavi e di bestiame al servizio dei pochi », denuncia William Godwin in “Eutanasia dello Stato”.

Spesso, « la povertà è circondata da tentazioni che spingono un uomo a vendersi l’anima, costringendolo a sacrificare la sua integrità, a svilire l’acutezza del suo spirito, a diventare lo schiavo succube di mille vizi ».

Quanti i più poveri che dilapidano i miseri proventi al gioco, al bar, nel fumo? Infatti, purtroppo, « l’ostentazione del ricco stimola costantemente in chi guarda il desiderio dell’opulenza ».

Solo una società di eguali può evitare tale sentimento di invidia.

Solo un Reddito di Base Universale può permettere di vivere in maniera dignitosa e libera.

Fonti e Note:

[1] “L’eutanasia dello Stato” di William Godwin, Peter Marshall, Pietro Adamo.

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