Decreto Sicurezza, Paura e Risposte Possibili

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L’assemblea di Sinistra Libertaria si è riunita ancora online, stavolta su piattaforma Jitsi Meet, per discutere il contenuto e le implicazioni del Decreto Sicurezza, ribattezzato da molti intervenuti come Decreto Paura, appena approvato dalla Camera dei Deputati attraverso il voto di fiducia imposto dal Governo Meloni. Il dibattito si è articolato su più livelli: politico, istituzionale, sociale e culturale.

Analisi del Decreto Sicurezza: merito e metodo di approvazione

Diversi interventi hanno sottolineato – come quando questo tema era stato in precedenza affrontato – come il nuovo Decreto Sicurezza sia funzionale agli interessi delle grandi imprese legate alle “grandi opere”, e volto a rafforzare uno stato di polizia in grado di reprimere il dissenso. È stato definito “una concessione a Salvini che realizza il vecchio progetto di Berlusconi”.

Il Decreto legge è stato indicato come particolarmente caotico nella formulazione e di difficile applicazione pratica. E’ stato contestato l’articolo 31 che consente ai Servizi Segreti di promuovere e organizzare una organizzazione terroristica. È stato inoltre rilevato un danno diretto alla filiera della cannabis a uso ricreativo e, allo stesso tempo, la previsione di un “bonus” di 10.000 euro destinato ai poliziotti sottoposti a indagine, giudicato eticamente e politicamente inaccettabile in quanto discriminatorio tanto delle vittime degli abusi quanto degli altri dipendenti pubblici o imputati in genere.

La crisi delle istituzioni

Molti interventi hanno evidenziato la perdita di credibilità del Parlamento, ritenuto ormai ridotto a un organo di mera ratifica. È stato ribadito come l’uso sistematico della decretazione d’urgenza indebolisca la centralità parlamentare. È stata inoltre ricordata l’illegittimità originaria dell’attuale assetto parlamentare, derivante da una legge elettorale la cui costituzionalità è attualmente oggetto di ricorso presso la CEDU [1] da parte dei Radicali Italiani e di +Europa.

Un intervento ha riassunto: «Il Parlamento è sminuito, svuotato del suo ruolo. Questo è un decreto fascistoide, fatto per reprimere chi protesta per scuola, ambiente, lavoro, sanità».

Assenza di opposizione e crisi della rappresentanza

È stata rilevata la totale assenza di una forza politica capace di mobilitare le masse. I sindacati sono stati giudicati deboli, divisi e integrati nel sistema, incapaci di promuovere un conflitto sociale efficace. È stato sottolineato che in passato, di fronte a proteste popolari o sindacali, i governi come quello di Tambroni si dimettevano. Oggi ciò non accade più.

Si è affermato che manca un’opposizione anche a livello di cultura e informazione. La sinistra non possiede strumenti mediatici in grado di svolgere una funzione di controinformazione. Si è parlato della necessità di attivismo civico e responsabilità personale diffusa.

Critica al sistema democratico e alla concentrazione del potere

Alcuni interventi, di taglio più radicale, hanno criticato la natura stessa del sistema democratico borghese, visto come una facciata dietro cui si nasconde il potere reale detenuto da chi controlla le risorse economiche e i media. È stato denunciato un monopolio culturale, più che un’egemonia, e il fallimento del progetto costituzionale nella sua applicazione concreta.

«La Costituzione non garantisce più partecipazione. Il potere è nelle mani di pochi. La democrazia accentra, non distribuisce».

Informazione e cultura

Un nodo ricorrente è stato quello dell’informazione: molti cittadini non sono a conoscenza dei contenuti del decreto, anche per mancanza di accesso o interesse verso i media ufficiali. È stato osservato come l’informazione attuale sia ridotta a consumo e intrattenimento [2], impedendo la formazione di coscienze critiche.

È stata rilanciata la necessità di costruire percorsi alternativi di informazione, formazione politica e culturale, capaci di rimettere in moto il conflitto sociale.

Il tema delle armi

Durante l’assemblea si è discusso anche del tema del possesso di armi da parte dei civili. Da parte di un partecipante, è stata avanzata la proposta di riconoscere un diritto alla difesa personale, a fronte dell’impossibilità, da parte dello Stato, di garantire ovunque e sempre la sicurezza dei cittadini. Si è sostenuto che il possesso di armi, se regolato e responsabile, non rappresenterebbe necessariamente un pericolo per l’ordine pubblico.

A supporto di questa visione, è stato citato il contesto statunitense, dove – secondo questa lettura – la violenza non dipenderebbe tanto dalla diffusione delle armi, quanto da fattori come:

  • la povertà,
  • le disuguaglianze sociali
  • e il degrado scolastico.

Lo stesso ha inoltre criticato l’attuale disciplina italiana, che non riconosce il porto d’armi come un diritto individuale, ma come una concessione discrezionale da parte delle autorità. È stato giudicato illogico che, in presenza di requisiti medici e giudiziari, la licenza non venga rilasciata in modo automatico. A suo parere, infine, è positiva la misura del Decreto Sicurezza che autorizza gli agenti di polizia di dotarsi di un’arma personale più compatta da usare fuori servizio, poiché più funzionale in contesti operativi urbani.

Il tema era già stato proposto all’Assemblea sotto l’aspetto de “Il nodo della difesa popolare“, che ipotizzava “un esercito popolare” che rimpiazzasse quello “professionista” in atto.

Come allora, anche su questa posizione è seguita un’ampia e articolata critica. Da tutti gli altri partecipanti all’Assemblea, in sostanza, è stato sottolineato come l’Italia, secondo i dati ufficiali, registri già un numero elevato di armi detenute legalmente: un dato che, seppur distribuito in modo disomogeneo (molti non ne possiedono nessuna, altri ne detengono decine), non giustifica ulteriori aperture. È stato osservato come diversi Paesi europei presentino numeri sensibilmente inferiori.

Si è quindi respinta l’idea di unSecondo Emendamento italiano”, ovvero la costituzionalizzazione del diritto al possesso di armi sulla falsariga della Carta dei Diritti statunitense [3], considerata una deriva pericolosa. Il rischio evocato è quello di una normalizzazione della presenza di armi nella società, che finirebbe per aumentare, non ridurre, la percezione e l’esperienza reale della violenza.

Ulteriori interventi hanno evidenziato il legame tra diffusione delle armi e criminalità organizzata, soprattutto nel Mezzogiorno, e la possibilità concreta di una deriva “da far west” [4] [5], alimentata da un aumento delle tensioni sociali. Si è contestato il modello liberal-liberista statunitense, ritenuto inadatto alla realtà italiana.

Armi da fuoco: diamo i numeri per fare un po’ di chiarezza

Già oggi i morti da armi da fuoco, in Italia, sono 0,35 ogni 100.000 abitanti, ben al di sopra che Paesi più avanzati socialmente e culturalmente come Germania (0,08 morti/100.000 abitanti), Austria e Spagna (0,13 morti), Danimarca (0,15) e Irlanda (0,18). Ma anche superiore a Paesi dell’Est quali la Romania (0,06 morti), l’Ungheria (0,07) o la Polonia (0,08).

Va evidenziato come la Polonia abbia in Europa il minor numero di armi ogni 100 cittadini (2,5) seguita proprio dalla Romania e dai Paesi Bassi (2,6). L’Italia oggi si attesta sulle 14,4 armi possedute ogni 100 abitanti. Secondo uno studio del 2018 di Small Arms Survey, in Italia, escludendo le armi in dotazione all’esercito e alle forze dell’ordine, si contano 8,6 milioni di armi registrate. 

È stata infine espressa una posizione radicalmente contraria al possesso di armi da parte dei civili e critica anche verso l’armamento della polizia. Si è parlato della necessità di un disarmo progressivo e di una politica pubblica centrata sulla prevenzione sociale. È stato affermato che «le armi sollecitano istinti distruttivi» e che «in un contesto armato si spara anche per un nonnulla». In questa prospettiva, anche la produzione e il commercio di armi sono stati definiti parte di un’economia negativa, da contrastare attraverso investimenti alternativi in sanità, istruzione e cultura.

L’Assemblea ritiene il tema esaurito e la proposta avanzata indicata come pericolosa e anzi da avversare.

Proposte operative

L’assemblea ha ribadito la necessità di:

  • Promuovere campagne di controinformazione strutturata;
  • Rafforzare la rete di attivismo territoriale;
  • Contrastare ogni logica securitaria che alimenti paura e repressione.

L’assemblea si è chiusa con l’impegno a elaborare una risposta politica e culturale al Decreto Sicurezza e alla deriva autoritaria in atto. È stato deciso di convocare un prossimo incontro operativo per definire iniziative territoriali e campagne di mobilitazione.

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Fonti e Note:

[1] L’Unità, 18 maggio 2024, “Perché la legge elettorale italiana potrebbe non essere regolare: la Cedu deve decidere”.

[2] Sinistra Libertaria, 28 agosto 2024, “Pietro Verri: i principi della resistenza al cattivo governo”.

[3] Wikipedia, “II emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America”.

«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata Milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare Armi non potrà essere violato».

Sir William Blackstone ha definito questo diritto come un «diritto ausiliario», che sostiene i diritti naturali di autodifesa e resistenza all’oppressione e il dovere civico di agire di concerto in difesa dello Stato. Con il caso giudiziario Distretto di Columbia contro Heller, la Corte suprema ha emesso una decisione storica, stabilendo che l’emendamento protegge il diritto di un individuo a possedere un’arma, fattispecie per la legittima difesa nella propria abitazione. Questa è stata la prima volta che la Corte ha stabilito, inoltre, che il Secondo emendamento garantisce, nello specifico, il diritto ad ogni singolo individuo, anche al di fuori di una milizia, di possedere un’arma.

[4] Diretta Sicilia, 9 maggio 2025, “Progettavano una strage come Monreale, armi da guerra sequestrate a Brancaccio”.

[5] Today.it, 28 settembre 2024, “Strage di Nuoro: anche l’Italia ha un problema con le armi”.

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